La Parola della Domenica
26ª del Tempo Ordinario
Am 6,1.4-7 Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.
Sal 145 Loda il Signore, anima mia
1Tm 6,11-16 Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore
Lc 16,19-31 Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
La perenne saggezza della Chiesa continua a farci meditare, con le letture proposte in questa domenica, il tema tanto importante quanto disatteso da molti appartenenti alla comunità cristiana, del rapporto con il denaro e la ricchezza. Il tema viene affrontato direttamente dalla prima lettura, un breve ma incisivo brano del profeta Amos, e dall’Evangelo di Luca, e indirettamente – ma con il solito vigore – da Paolo nella prima lettera a Timoteo in cui anche a noi viene rivolto l’invito a tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Il linguaggio di Amos è tipicamente orientale e pastorale, ma – trasferito nel nostro tempo – rappresenta una descrizione puntuale di situazioni che tutti conosciamo bene. Dobbiamo però notare che il profeta Amos non indulge in commenti moralistici, ma pone piuttosto l’accento sugli effetti del comportamento connesso alla condizione di ricchi nei confronti della condizione politica in cui vive il popolo di Israele. Circa vent’anni dopo questo richiamo il Regno d’Israele sarà distrutto, e i ricchi, dediti ai loro vizi e alle loro ingordigie, non si accorgono della rovina imminente. La ricchezza ha sempre un effetto anestetico e addirittura ipnotico (accumula, mangia, bevi, divertiti, e non curarti delle cose tristi… ). È in pratica quanto succede al ricco dell’Evangelo di Luca. I bagordi in cui egli trascorre il suo tempo, gli abiti sontuosi che indossa, fanno da tragico contrasto con la condizione indigente in cui versa Lazzaro, il povero che giace alla porta della casa del ricco. Ma il ricco non si accorge di lui, solo i cani leccano le sue piaghe… Il ricco non si accorge di lui proprio perché anestetizzato dalla ricchezza, in una condizione ipnotica che elimina da un lato la sofferenza e la fatica del vivere, ma anche, dall’altro lato, la capacità di cogliere la realtà nei suoi aspetti più concreti. Ma c’è un secondo passaggio al quale è importante accennare- Il povero muore e viene “portato dagli angeli accanto ad Abramo”, viene cioè gratificato con il premio che noi definiamo con il termine di “Paradiso”. Chiediamoci: perché Luca ci fa rimarcare questo fatto? Qual è l’insegnamento profondamente teologico contenuto in esso? I poveri e i peccatori, nell’Evangelo, fanno spesso parte del medesimo scenario simbolico. Gesù li ama perche entrambi si trovano nella condizione per ricevere l’essenzialità del suo messaggio. Li ama proprio perché dal cuore dell’uomo umiliato dalle colpe commesse, oppresso, fragile, è in grado di uscire la preghiera spontanea che Dio apprezza, fatta talvolta con parole aspre come quelle di Giobbe, ma che esce dal cuore e che della preghiera rispetta l’autentica natura di invocazione. Ma c’è ancora di più. La condizione di povero merita un riconoscimento particolare da parte di Dio non perché il povero è migliore del ricco, entreremmo qui in un contesto moralistico sempre estraneo all’Evangelo, quanto piuttosto perché egli è il sacramento, un autentico sacramento, della condizione umana, sacramento di un destino universale. Il povero come segno, “sacramento” della condizione umana. Georgers Bernanos, fa dire al suo “curato di campagna”, con un linguaggio diretto, spesso scostante: “Io non amo i poveri come le vecchie inglesi amano i gatti sperduti o i tori delle corride. Sono abitudini da ricchi, codeste. Io amo la povertà d’un amore profondo, riflessivo, lucido – da uguale a uguale – come una sposa dal fianco fecondo e fedele” (Diario di un curato di campagna). [adattamento da omelie Autori vari – www.lachiesa.it].