La Parola della Domenica
1ª Di Quaresima
Prima lettura (Gen 2,7-9; 3,1-7) La creazione dei progenitori e il loro peccato.
Salmo responsoriale (Sal 50) Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.
Seconda lettura (Rm 5,12-19) Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.
Vangelo (Mt 4,1-11) Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.
Iniziamo in questa domenica il tempo di Quaresima, un tempo forte per i cristiani, il tempo del deserto, della nostra riflessione intima sul rapporto che intratteniamo con Dio e con i fratelli, il tempo della riconciliazione e del perdono. Il tempo, anche, del digiuno, della fatica, della tentazione. Il deserto non è solo un luogo fisico, ma anche antropologico e teologico. È il tempo del silenzio, tutti ne abbiamo bisogno, e tutti dobbiamo lasciarci interpellare da esso; non è casuale che la Quaresima, questo tempo di interiorizzazione riflessiva e di rinnovamento spirituale, inizi proprio con il racconto (Matteo 4,1-11) del deserto in cui Gesù ha volontariamente scelto di sostare (per 40 giorni e per 40 notti, dice l’Evangelo, ma la cifra è ovviamente simbolica) e di accettarne le terribili tentazioni. Chi per varie ragioni abbia soggiornato nel deserto, sa quali pericoli in esso si corrano, quali miraggi si intravedono, quale fatica si debba sopportare, contro quali tentazioni si debba combattere. Ma il deserto è un luogo di passaggio, in esso si deve camminare veloci: fermarsi, rilassarsi, sedersi può addirittura essere la causa della fine di chi in esso si avventura. Nel deserto, Gesù ha subito tre tentazioni. Anche Gesù, non sembri strano, è stato tentato, e non si tratta di tentazioni virtuali, come spesso ci viene fatto credere da chi ha talmente idealizzato il Maestro da ritenerlo immune dalle passioni umane, anche le più indicibili. Per costoro non avrebbe fatto fatica, Gesù, lui è il Figlio di Dio, era già scritto che avrebbe resistito alle tentazioni. Ma non è così. Gesù, uomo come ognuno di noi, figlio di Maria e di Giuseppe, poteva vincere o poteva perdere, poteva fermarsi e rincorrere improbabili miraggi, o andare avanti. Gesù è andato avanti. È andato avanti nonostante la cultura ebraica in cui era stato educato ed in cui era immerso: la cultura di un Dio che stava dalla parte dei giusti e non dei peccatori; la cultura di un popolo che attendeva l’Unto del Signore, faceva il tifo per lui, e stava con lui; un popolo che, più che pensare a un Dio con sé, voleva un Dio per sé.
Questa era la cultura ebraica, e – confessiamolo – essa è ancora un po’ la nostra cultura dominante. Gesù, rifiutando le tentazioni, non si è presentato solo come un campione di moralità, un campione dell’etica, ma come un uomo dalla schiena diritta ( e questo costava ieri e costa oggi) che, convertendosi giorno dopo giorno (a questo serve il deserto) ha saputo rinnovare radicalmente dal di dentro la cultura del tempo. E a noi ha dunque affidato il compito di rinnovare la nostra. In questo kairòs , in questo tempo opportuno, soprattutto in Quaresima. Ma andiamo con ordine: le tre tentazioni. La tentazione del pane. Anche qui il termine “pane” è ovviamente simbolico, è una sinéddoche, è parte per il tutto. Nel pane ci sta il lavoro, ci stanno le scorciatoie per diventare più ricchi, ci stanno soprattutto i nostri consumi superflui, ci stanno i supermercati con gli scaffali colmi di cose allettanti, ci sta la maglia griffata, l’auto di lusso, la pelliccia, il cellulare all’ultima moda. E l’elenco potrebbe continuare. Ci sta di tutto, meno ciò che Gesù accetta di scegliere, il progetto di Dio su di lui (e su di noi), cioè il Regno. Perché “Non di solo pane vive l’uomo”. La tentazione del disimpegno, il fascino del mistero e di una religione facile e disincarnata, di una religione miracolistica: la tentazione del ritenerci salvati, puri, senza diventare noi stessi faticosamente salvatori, la tentazione di affidarsi al miracolismo settario senza veramente affidarci a Dio e fidarci di lui, la tentazione della rinuncia a seguire sempre la nostra coscienza, la tentazione della rinuncia all’azione nella pretesa che sia Dio stesso a fare la storia e non invece il nostro compagno di viaggio nella storia, in perenne sofferenza con noi. Ma… “Non sfidare il Signore, Dio tuo… “. La tentazione del potere, della supremazia sugli altri, lo stesso vizio intellettualistico della nostra presunta superiorità, la tentazione dell’impunibilità garantita dal denaro e dalla posizione preminente nella società, del dividere il mondo tra buoni o cattivi, collocando noi stessi nella prima categoria, del considerare la persona non fine, ma mezzo, dell’appropriarsi del corpo delle persone, del considerare, da parte maschile, la donna come un piacevole diversivo, del considerare la Chiesa come soggetto di privilegio, la tentazione, sempre ricorrente nella storia della Chiesa e delle comunità cristiane, del clericalismo. Tutto questo, ed altro ancora, dice la parola “potere” Ma: “Adora il Signore, tuo Dio, a lui solo rivolgi la tua preghiera”. Gesù ha subito queste tentazioni, non facili da rifiutare perché Gesù era ebreo, per nascita, per cultura, per tradizione. Le ha superate attraverso il confronto quotidiano, dialogante con il Padre, ed il rifiuto, attraverso l’adesione ad un rapporto autentico non seguendo il modo di pensare degli uomini immergendosi invece in modo filiale nel progetto di Dio. Questa è la strada che siamo oggi chiamati a percorrere. Ma per farlo dobbiamo – restando fedeli alla storia – entrare nel deserto.